Qualche giorno fa, nella casella di posta di Pcos Italia, è arrivata una e-mail che mi ha molto colpito, toccato, ferito. L’autrice è una giovane donna di 31 anni, che chiamerò Dora, nome di origine greca derivante dalla parola δόρον (doron) che significa “dono, regalo”. Ho scelto questo nome per proteggere il suo anonimato e per omaggiare la sua generosità nel donare la proprie esperienza attraverso parole cariche di dolore, nella speranza di far sentire meno sole altre ragazze nella sua stessa situazione. Mi ha detto: “La mia filosofia di vita, nonostante le tante batoste, è che l’amore genera amore, quindi io per prima cerco di donare quanto più posso“. Ecco perchè non potevo pensare ad un nome di fantasia diverso per lei.
Questa è la sua mail.
Buongiorno, mi chiamo Dora.
Scoprire il vostro profilo Instagram mi ha aperto un mondo e mi ha fatto sperare in qualcosa di meglio per il futuro.
Per anni e anni (attualmente ne ho 31) son stata rimproverata dai medici più disparati (medico di base, ginecologa, nutrizionista, ortopedici e persino dentisti) a causa del mio peso. Mi è stato detto più e più volte che i problemi ormonali e i miei cicli ballerini non sarebbero andati a posto se non avessi perso peso, il mio medico di base ad un mio appello piuttosto disperato ha avuto il cattivo gusto di consigliarmi di “tappare la bocca” perché se non avessi mangiato sarei dimagrita. Nonostante lo sport, l’attenzione costante all’alimentazione (perché di diete sensate non me ne sono mai state date “evita i latticini, niente dolci e pasta 1 volta a settimana”) la bilancia e il metro non riescono mai a darmi buone notizie.
Come se non bastasse ho lamentato più volte una caduta di capelli continua a molto abbondante, stati di ansia che sfociano spesso in attacchi di panico, stanchezza cronica e sbalzi di umore, ma anche qui oltre a consigliarmi lo zinco per i capelli e uno scocciato “rilassati che sei giovane” non ho portato a casa nulla. Con la coda tra le gambe mi sono chiusa sempre di più, covando stati emotivi a volte preoccupanti. Da tutta la vita noto come con una persona sovrappeso ogni esternazione venga presa come una “lagna” da liquidare senza troppo sentimento.
Ora, leggendo i vostri contributi mi sembra di capire di essere più che “normale” e che forse non sono IO ad essere sbagliata, ma loro a non aver preso sul serio la situazione.
Ho visto che avete nel vostro team psicologhe e nutrizioniste, vorrei sapere se avete già contatti anche con una ginecologa in grado di valutare la situazione da una prospettiva finalmente differente.Sarei ben felice di fare il viaggio da C. pur di non sentirmi umiliare nuovamente da una dottoressa che mentre sto lì mezza nuda mi svilisce perché sono solo un’altra grassona che non fa niente per cambiare la situazione. […]
Grazie mille di cuore e perdonatemi per essermi dilungata. Vi auguro buon fine settimana
La storia di Dora è l’esempio di quanto la sofferenza legata alla PCOS non sia solo legata alla PCOS. Ci sono dolori che sembrano effetti collaterali inevitabili dell’avere questa Sindrome e che per questo vengono tollerati in silenzio, come il peregrinare fra un medico e l’altro nella speranza di trovarne uno che ne capisca, come il sentirsi trattare con sufficienza da medici attenti solo a indici, esami, chili; come il vedersi liquidare con frettolosità senza avere mai lo spazio di esprimere la propria angoscia, stanchezza, solitudine, frustrazione; come il sentirsi rispondere che sono altri i problemi seri della vita, del resto non stai mica morendo.
Nulla di tutto questo è un inevitabile effetto collaterale. Nulla di tutto questo è tollerabile e pertanto non dovremmo tollerarlo affatto!
Sono franca, a volte mi è capitato di leggere spesso simili reazioni anche fra altre donne con Sindrome dell’Ovaio Policistico a sfoghi di giovani donne sofferenti per il proprio aspetto fisico, per l’irsutismo e la caduta dei capelli: “sono altri i problemi della vita, non i peli”.
Non si può fare una classifica dei dolori, ognuna conosce i propri e bisognerebbe rispettare e accogliere quelli altrui. La peluria, il sovrappeso, la caduta dei capelli incidono sulla percezione di sè, sulla propria identità femminile, nello stesso modo in cui lo fa la difficoltà/impossibilità di procreare. Stilare classifiche non serve a nulla, se non a relegare nel silenzio alcune di noi.
Bisogna che impariamo ad avere rispetto del nostro dolore, a riconoscere quello che proviamo e a dargli voce, per potere infine prendercene cura. Questo significa uscire dalla logica che ai medici sia tutto concesso: non è un diritto di nessuno farci sentire sbagliate, in imbarazzo, peggio ancora umiliate. Uno specialista che non sia in grado di accogliere anche la nostra sofferenza emotiva o che addirittura ci schernisca per la nostra angoscia, come è accaduto a Dora, è uno specialista a cui faremmo bene a dirne quattro, prima di abbandonarlo e rivolgerci altrove.
I dolori che restano inespressi, chiusi dentro di noi, che non trovano parole per venire fuori, che sia con le lacrime o con rabbia o con tutte e due insieme, sono dolori che si incistano e che ci logorano dall’interno. Non dobbiamo permettere che accada.
Fin dalla nascita di PCOS Italia, in tante ci avete scritto per sostenerci e raccontarci la vostra esperienza con la PCOS. Vi siamo grate per le vostre preziose condivisioni e siamo sempre pronte ad accoglierne, qualora voleste farcene dono.
Se avete piacere però, pensiamo sia molto importante che possiate condividerne anche con chi ci segue, con altre donne con PCOS, perchè per tante di voi (di noi) esattamente come per Dora, uno dei grandi motivi di sofferenza connessi alla PCOS è la solitudine, in non sentirsi comprese, il percepirsi come strane o esagerate, in non riuscire a dare un senso al proprio malessere.
Non sentirsi “la sola” aiuta a non sentirsi sola! Per questo, se ne avete voglia, scriveteci e raccontateci la vostra esperienza con la PCOS, parlateci soprattutto di come vi siete sentite, di cosa vi ha aiutato, di cosa avreste bisogno. Pubblicheremo i vostri contributi solo con il vostro consenso e sempre in forma anonima.
Autrice: dott.ssa Marta Grasso – psicologa clinica e forense, psicoterapeuta