Diagnosi: PCOS.
PCOS. Ho letto più volte questa parola dal documento lasciatomi dall’endocrinologa, cercando di memorizzare le lettere che la componevano. Il colloquio che abbiamo avuto è stato breve ma è bastato a togliere la maggior parte dei dubbi e perplessità che mi assillavano da tempo. Diciamo che appena uscita dall’ambulatorio ho tirato un sospiro di sollievo, perché sapevo che d’ora in poi tante cose avrebbero avuto un senso. Finalmente l’insieme di sintomi che mi tormentavano avevano un’origine ben precisa e in questo modo sarei riuscita finalmente a comprenderli meglio, e magari col tempo, anche a controllarli.
La mia prima visita endocrinologica è stata dunque l’inizio di un percorso tutto nuovo, ma anche la fine di una serie di tormenti e brutti momenti, dovuti al mio irsutismo. Crisi di pianto davanti allo specchio, perché quei dannati peli sul collo, sul mento e vicino alle orecchie non solo non sparivano, ma anzi aumentavano sempre di più. Mi ricordo di alcune sere in cui, già truccata e pronta per uscire di casa, avrei dato qualsiasi cosa pur di non vederli. Nella maggior parte dei casi mi armavo di buona pazienza, prendevo la pinzetta e mi mettevo all’opera. In altri casi chiedevo a mia madre che me li togliesse lei, in preda alle lacrime e allo sconforto. Le crisi peggiori, quelle dovute all’intensificarsi della sindrome, le ho avute a circa 18 anni e in quell’età prima di uscire volevo solo sentirmi bella, impeccabile. E invece non mi sentivo per niente bella perché per niente femminile, non mi sentivo realizzata in quanto donna. Non avevo paura di quello che avrebbero potuto dire gli altri a riguardo, non mi interessava, m’importava piuttosto il giudizio che io davo a me stessa: non ero abbastanza. Mai abbastanza.
Almeno questa era la punta dell’iceberg, ciò che riuscivo a concepire. Tutto ciò che non riuscivo invece né a comprendere e talvolta nemmeno a percepire era invece tutto lo squilibrio emotivo che avevo dentro, causato probabilmente dai disturbi ormonali. In questa parte non sono ancora migliorata, perché ad oggi, a quasi un anno dalla diagnosi, riesco a malapena a capire quando sono tesa e stressata per gli ormoni e quando no. Immagino che sia perché ancora non so ascoltarmi per bene, ascoltare cosa desidera il mio corpo, cosa mi richiede. Spesso mi limito a mettere a tacere i miei bisogni per comodità, pigrizia, perché non è il momento o perché non è decisamente quello di cui hanno bisogno gli altri. Ma questo fa parte del mio carattere: sono la prima a mettere da parte le mie esigenze per il bene altrui. Tuttavia, col tempo ho imparato che è importante mostrarci per le nostre necessità, perché ci rende veri. Dobbiamo anche mostrare il nostro lato debole, dobbiamo farlo sia per noi stessi che per gli altri.
Quindi all’inizio è stato difficile per la mia famiglia, con cui convivo, accettare che avessi deciso di andare da una dietologa. Per loro la dieta significa più che altro sacrifici, privazioni e nessun risultato a lungo termine.
E invece da quando ho cominciato io mi sento meglio, sento che la mia alimentazione sta piano piano acquistando un suo equilibrio, mi sento meno fiacca e affaticata e nemmeno i risultati tardano ad arrivare, perché dopo sei mesi (e una quarantena in cui era proibito uscire di casa a fare le lunghe passeggiate a cui sono abituata e che tanto mi piacciono) ho perso grasso sia nei fianchi sia nell’addome.
Ecco, la pancetta era proprio una cosa che mi infastidiva del mio corpo, quella che ho fatto più fatica ad imparare a tollerare. Tutto il resto sì, la pancia no. E ne ho ancora, ve lo giuro. Però ora è diverso, adesso che l’estate sta per finire è ora di tirare le somme e io mi sento cambiata. Lo scorso anno passeggiavo in riva al mare, ossessionata dall’idea di perdere quella pancia che mi imbarazzava tanto quando avevo addosso solo il bikini. Quest’anno invece al mare passeggio con tranquillità, perché so che il mio è un corpo che sta cambiando, che sta lavorando per diventare migliore e anch’io sto lavorando per migliorarmi nel mio atteggiamento verso di esso. E questo mi basta.
La mattina mi sveglio e so che mi aspetta una colazione che mi piace e mi fa sentire bene – nel mio caso il porridge d’avena. So che se apro Instagram ci sono tanti post di dietologhe, nutrizioniste e psicologhe con suggerimenti e consigli che possono aiutarmi nella vita di tutti i giorni e questo mi fa piacere, perché mi sento “coccolata”. Mi dà sicurezza sapere che ci sia tutta questa cura e attenzione verso una problematica femminile di cui a mio parere si parla ancora poco, purtroppo. Forse solo in quest’ultimo periodo sta acquistando un po’ più considerazione, mentre invece fino a qualche tempo fa parlare di mestruazioni, squilibri ormonali e irritabilità da sindrome premestruale era argomento tabù, secondo la mia percezione. Io non ho problemi ad andare in argomento con le persone di cui mi fido, ma al tempo stesso è un peccato che molto spesso non tutti possano parlarne liberamente. Mi auguro che in futuro ci sia sempre più consapevolezza del problema e che molte ragazze e donne si sentano sicure di dire con serenità: “MI DEVE ARRIVARE IL CICLO”, oppure “HO I PELI SUL COLLO”, “NON MI PIACCIO, NON MI SENTO FEMMINILE”, o ancora “NON RIESCO AD AVERE UN BAMBINO” e via dicendo. E mi auguro che possano risolvere i loro problemi a riguardo nel migliore dei modi.
Tutto sommato sono tranquilla, perché la mia non è una forma grave e so che c’è di peggio, ma nella mia piccola sfortuna mi sento molto fortunata, perché ho avuto modo di conoscere bene il mio problema e capire come poterlo controllare piuttosto bene. Adesso so che ci sono tante altre persone che lo stanno affrontando e altrettante persone disposte a dare una mano. So che non sono l’unica e so che non sono da sola. E so che va tutto bene.